Leggere e rileggere non basta: la correzione delle bozze non è un gioco da ragazzi
Eccoci qui: abbiamo appena terminato di trasferire sul foglio (“elettronico” o “cartaceo” non fa differenza) i contenuti che esistevano, prima, solo nella nostra mente. Le considerazione che leggerete di seguito valgono per qualsiasi tipo di contenuto. Possiamo aver scritto un romanzo o una serie di racconti, un saggio oppure, più semplicemente, stiamo pensando di pubblicare la nostra tesi di laurea. Potremmo desiderare di condividere delle informazioni inerenti al nostro lavoro. Oppure le nostre conoscenze necessitano di essere riordinate in un contenuto didatticamente fruibile, da distribuire ai partecipanti del corso che abbiamo appena organizzato.
Le strade che un manoscritto può imboccare a questo punto sono molte. Dalla presentazione diretta a una casa editrice, alla proposta di lettura a un agente letterario, per ottenere da lui un parere tanto professionale quanto spassionato. Oppure, la partecipazione a un concorso letterario (ne esistono anche per la saggistica) che metta in palio per i vincitori la tanto agognata pubblicazione. In ognuno di questi casi, esistono due azioni indispensabili da intraprendere prima di inviare i nostri contenuti alla stampante o renderli pubblici sul web.
Qualche regola base per ottenere un effetto professionale
Ma anche se si sta semplicemente pensando di investire un po’ di denaro nei servizi di un editor o si stanno approntando dei contenuti da distribuire gratuitamente sul web, la prima buona prassi da seguire è liberarsi dagli errori. Cioè quell’attività che in gergo tecnico viene chiamata “correzione delle bozze”. Che si tratti di errori di battitura, di punteggiatura o semplici refusi, chiunque stia per leggere il nostro testo ci ringrazierà per questo. Leggere, soprattutto a livello professionale, un testo zeppo di errori è un’attività faticosa e quanto mai fastidiosa. E fatica e fastidio spingono, molto spesso, ad abbandonare la lettura dopo poco pagine, a prescindere dall’interesse che può essere “nascosto” nei contenuti. Badate bene, non ho usato l’aggettivo “nascosto” a caso. Perché, quando gli errori presenti nel testo sono tali da disincentivare la lettura da parte di un agente letterario, di un giurato o di un editore, rischiamo che i nostri contenuti restino davvero “lettera morta”.
Non dobbiamo illuderci che basti inserire il correttore ortografico del word processor per sfuggire agli errori. I correttori possono essere configurati in vari modi e analizzare in maniera più o meno approfondita il testo, con il rischio di risultare a volte fastidiosi con proposte di correzioni inopportune o, addirittura, palesemente scorrette. Eppure, nessuna correzione automatica riuscirà a superare la sensibilità di un correttore di bozze professionista.
L’errore che non ti aspetti
Se non credete alla facilità con cui tutti rischiano di disseminare di errori i propri testi, voglio raccontarvi l’errore più clamoroso che mi sia capitato di incontrare negli ultimi anni.
Il libro si intitola “Il resto è rumore”, un saggio musicale edito dalla casa editrice Bompiani, non certo l’ultima arrivata. Volete sapere dove stava l’errore, nella prima edizione messa in vendita? In copertina! Come potete vedere dalla scansione del volume che sta nella mia biblioteca, l’errore è clamoroso. Il titolo in copertina è diventato “Il pesto è rumore”! Errore che l’editore, per correre ai ripari e non buttare tutta la prima tiratura, aveva maldestramente camuffato con una sopraccoperta che non aveva ragione di esistere!
Ma di errori che facilmente sfuggono ai correttori automatici sono infarciti tutti i testi. Dalla confusione all’interno dei periodi dettata da ripensamenti e riscritture, alle parole raddoppiate all’interno della medesima frase, ai refusi in cui i termini sono ortograficamente corretti (come il “pesto” in copertina), ma ugualmente sbagliati! Fino all’estremo delle correzioni “errate” apportate in autonomia da correttori ortografici eccessivamente zelanti! La qualità di ogni manoscritto è indissolubilmente legata a una buona correzione delle bozze.
La punteggiatura… questa sconosciuta!
Rileggere molte volte il proprio testo aiuta, ma non basta. L’autore tende a “leggere” ciò che pensa di aver scritto, rispetto a ciò che è effettivamente impresso sulla pagina. Far leggere in anteprima il testo ad amici o colleghi aiuta, ma non è ancora sufficiente perché, per esempio, molte delle regole legate alla punteggiatura sono misconosciute ai più. Trattino lungo o trattino corto? Virgolette a caporale, semplici o doppie? Apostrofo o accento? Se volete fare un gioco, potete scaricare da qui le diapositive che ho preparato per una lezione dedicata a “Impaginazione e stampa”, tenuta qualche mese fa a UrbanFabrica a Ravenna (come parte del Corso intensivo per la stesura di un romanzo con Gianluca Morozzi). Scorretele e provate a cercare le risposte giuste… in rosso gli errori, in verde le soluzioni corrette.
Difficile poi che gli amici – a differenza di un professionista con la sensibilità allenata – sappiano dare giusti consigli su come ottenere un “effetto professionale” dalla nostra impaginazione. Perché la corretta impaginazione rappresenta il secondo, importante fattore di cui tenere conto per invogliare qualcuno ad addentrarsi nella lettura di un manoscritto.
La pagina perfetta: font, margini, interlinea, titoli
Per esempio: quale font è meglio scegliere per il nostro impaginato? Forse non tutti sanno che i caratteri serif (o “caratteri con grazie”) sono considerati generalmente più facili da leggere sulla carta, ma risultano faticosi a video, dove i caratteri sans serif (o “bastoni”) danno invece il meglio di sé. Non esiste, quindi, una risposta univoca alla domanda. Dobbiamo invece domandarci attraverso quali media i nostri contenuti saranno letti: lo schermo di un computer o un foglio uscito da una stampante?
Dovremo poi abituarci a considerare come unità di misura dei nostri manoscritti la “cartella editoriale”, composta di circa 1.800 caratteri (pari a 30 righe di circa 60 battute ciascuna, spazi fra una parola e l’altra compresi), a tenere conto di interlinee e margini che guidino nella lettura senza affaticare la vista e, infine, imparare a scrivere una corretta “sinossi” del testo. Siamo davvero sicuri di volere fare tutto da soli?
In tempi di self-publishing imperante, non può esistere una risposta univoca, come non esiste un criterio univoco per una bella impaginazione (libro o manoscritto che sia). Perché scrivere un libro e, possibilmente, pubblicarlo è sempre un’impresa impegnativa. Tuttavia la scelta tra fare tutto da soli oppure servirsi dell’aiuto di professionisti (correttori, editor o grafici che siano) dipende in massima parte dalle aspettative che riponiamo in quello che abbiamo scritto. Dipende dal tempo e dall’impegno, economico, di energie e di passione che vi abbiamo profuso. Se tempo, energie e passione sono state tante, perché accontentarsi di un risultato che un professionista dell’editoria potrebbe giudicare non all’altezza?