Siamo circondati dallo storytelling per una ragione ben precisa. Tutta la nostra vita è avvolta nelle storie e delle storie, noi esseri umani, non possiamo fare a meno!
Sempre più spesso, la parola storytelling si accompagna agli aggettivi più vari: da storytelling aziendale a storytelling didattico, da storytelling marketing a storytelling management. E lo storytelling, sempre più spesso nei convegni di molti settori economici, viene citato fra le “buone pratiche” da mettere in atto. Sul web si trovano decine di articoli che ne parlano. Vengono pubblicate classifiche di tools che “aiutano” a fare storytelling e pubblicizzati corsi e webinar che, in poche ore, dovrebbero trasformare i partecipanti in provetti storyteller.
La definizione che il vocabolario Treccani dà della parola storytelling dice già molto riguardo all’importanza di questo concetto nella comunicazione:
storytelling (story-telling), s. m. inv. Affabulazione, arte di scrivere o raccontare storie catturando l’attenzione e l’interesse del pubblico.
Non si tratta di un concetto proprio della modernità, perché lo storytelling è vecchio come il mondo. Come scrive Jonathan Gottschall nel suo libro L’istinto di narrare:
I miti greci, la Bibbia e i Vangeli, l’ Epopea di Gilgameš, scritta in epoca sumerica sul tavolette di argilla, il Rāmāyaṇa, il Mahābhārata e i Purāṇa induisti sono tutti perfetti esempi di storytelling. Sono narrazioni che hanno saputo attraversare i millenni plasmando le menti degli uomini, rafforzando i legami sociali e i valori di una cultura comune. Non c’è nulla da fare, sempre citando il libro L’istinto di narrare di Jonathan Gottschall:
La nostra mente vive di storie. Ne è affascinata. Quando le storie ci catturano, il nostro cervello si comporta nei confronti dei personaggi della finzione con la stessa dose di empatia che proverebbe davanti a esseri umani reali. Perché questo accada rimane controverso e le teorie scientifiche nate per spiegare il fenomeno sono in costante divenire. Tuttavia, una cosa è assolutamente certa: nel nostro cervello, le informazioni ottenute mentre leggiamo o ascoltiamo una storia penetrano più facilmente e attecchiscono meglio. Mentre siamo “presi” dalla storia il nostro senso critico si dissolve, le barriere della razionalità cadono e rimaniamo facile “preda” delle emozioni.
Esiste una ricetta per diventare un bravo storyteller?
La ricetta per diventare un grande scrittore, come Murakami Haruki, non esiste. E per essere in grado di scrivere testi – per un blog, una rivista o un sito – capaci di veicolare contenuti attraverso una storia ben raccontata, invece? Per prima cosa, dovremmo rispondere a un’altra domanda: cos’è di preciso una storia? Questa volta prendo a prestito le parole usate da Marco Baliani in Ogni volta che si racconta una storia:
E, di conseguenza, di personaggi che agiscono e interagiscono e di un arco temporale più o meno lungo in cui far svolgere la storia. Molti teorici da blog – o formatori da webinar che in sole 4 ore sono capace di trasformare chiunque in un provetto storyteller! – sono pronti a scommettere sull’estrema semplicità della ricetta necessaria per scrivere una storia che funzioni. Cosa ci vuole, in fondo? Basta applicare il “collaudato” schema narrativo di Propp. Propp fu uno studioso delle fiabe popolari russe. Proprio dalle fiabe trasse una struttura narrativa, che propose come modello base per tutte le narrazioni nel suo libro Morfologia della fiaba (1928).
Le teorie di Propp sono state abbondantemente criticate, ma possono contare anche su parecchi difensori. L’esistenza di uno schema base all’origine della maggior parte delle storie – anche se magari non si tratta proprio del rigido schema di Propp – è sicuramente reale:
Se però non siamo degli scrittori professionisti, è difficile riuscire a imbastire storie capaci di coinvolgere ed emozionare applicando solamente un rigido schema precostituito.
È proprio partendo da questa considerazione che stiamo immaginando un innovativo modello di approccio allo storytelling!
Appropriarsi della tecnica dello storytelling è sicuramente più lungo e complesso. Si deve partire dal riconoscimento della propria voce originale. Una voce che troppo spesso viene sommersa dalle molte altre voci vestite nel corso della vita. Le maschere che la nostra comunicazione è stata costretta a indossare a scuola, sul lavoro, in pubblico. Il nostro bagaglio culturale ci rende incapaci di scrivere in maniera originale e personale. Ci induce a “mal nominare”, a “tradurre” (come direbbe il linguista Roland Barthes) le cose di cui vorremmo parlare in stereotipi che mummificano la scrittura, rendendola noiosa e prevedibile. E una scrittura noiosa e prevedibile è già da sola nemica di una storia coinvolgente.
Per questo, il laboratorio che intendiamo proporre si sviluppa come un percorso a tappe verso lo storytelling. Si parte dalla ricerca della propria voce personale per arrivare alla ricetta della storia più adatta ai contenuti che si vogliono veicolare. Concentrandosi di volta in volta su un ambito ben specifico. Puoi scriverci, per ricevere ulteriori informazioni sull’argomento!